Guglielmo Marconi il "Mago degli spazii" di Gabriele D'Annunzio

 

 

 

Guglielmo Marconi

il “Mago degli spazii” di Gabriele D’Annunzio

 

Appunti sulle pagine del settimanale “Quadrivio”

in ricordo di Guglielmo Marconi

Roma, 25 luglio 1937

 


 

 

 

 

APPUNTI SU GUGLIELMO MARCONI

 

(di Claudio Sicolo)

 

Roma, 18 giugno 2016

 

 

 

Guglielmo Marconi – il “Mago degli spazii” di Gabriele D’Annunzio

 

Appunti sulle pagine del settimanale “Quadrivio” in ricordo di Guglielmo Marconi

 

Roma, 25 luglio 1937

 

 

 

 

 

 

Queste note prendono spunto da uno scritto di Gabriele D’Annunzio comparso sul “Quadrivio – Grande settimanale letterario illustrato di Roma”  il 25 luglio 1937, di cui ho trovato copia originale a Portaportese in questi ultimi giorni, per riflettere sul valore storico dell’appellativo di “mago degli spazii” qui attribuito a Marconi da D’Annunzio.

 

In particolare, mi pare opportuno ragionare su origini e giustificazioni storiche di tale appellativo, e cioè se tali origini siano, o non siano,  solo il frutto della retorica nazionalistica del periodo fascista.

 

A proposito del Marconi “mago” nella retorica fascista, cito, una per tutte, la biografia celebrativa e, direi, apologetica, scritta da Mario La Stella dal titolo “Guglielmo Marconi – Mago dell’invisibile – Dominatore degli spazi” pubblicata proprio nel 1937[1].

 

Qui la vita e le opere di Marconi sono descritte con un linguaggio mitologico e patriottico in un contesto epico di esaltanti  invenzioni e scoperte.  Marconi è il “mago”, sinonimo di genio soprannaturale,  che, nato in una “magica aurora”[2] porta a termine sul suolo italico con un “lavoro magico”[3] le imprese delle grandi epiche figure  di Volta, Galvani, Maxwell e di Faraday, tutti accomunati da un ineluttabile destino.

 

Ma allora Marconi fu “mago” per meriti di pura retorica propagandistica? Quando nacque il Marconi “mago”?

 

Possiamo smentire l’opinione che Marconi sia diventato tale per meriti ideologici proprio esaminando attentamente lo scritto di D’Annunzio riportato dal “Quadrivio”.

 

 

Le origini dell’articolo del 1937 tra l’ inizio della grande guerra e l’impresa di Fiume

 

L’articolo fu pubblicato per commemorare Guglielmo Marconi alla sua morte avvenuta nella notte del  20 luglio 1937. La redazione del giornale sotto il titolo “Marconi e d’Annunzio”  riproduce quasi integralmente  un discorso   dal  titolo “ Saluto a Guglielmo Marconi in Fiume d’Italia” scritto da D’Annunzio e apparso sul giornale “La vedetta d’Italia” il 23 settembre 1920 in occasione dell’arrivo di Marconi a Fiume il 22 settembre del 1920 a bordo della nave “Elettra

 

D’Annunzio aveva occupato Fiume con i suoi legionari un anno prima, il 12 settembre 1919 e aveva proclamato Fiume come stato indipendente, la “Reggenza Italiana del Carnaro”, nell’agosto del 1920, in pieno contrasto con il Governo liberale italiano di Francesco Saverio Nitti e di Giovanni Giolitti. Questi, dopo qualche mese,  avrebbe inviato le sue truppe per ristabilire l’ordine. La città cedette le armi sotto i bombardamenti  provenienti dalla nave italiana Andrea Doria del 26 e del 27 dicembre del 1920,  poco dopo la partenza di Marconi da Fiume avvenuta il 23 settembre di quell’anno.

 

La visita di Marconi e il saluto di D’Annunzio si posero quindi in un momento storico assai drammatico e non vi è dubbio che la riedizione di quel saluto pubblicato alla morte di Marconi nel 1937 richiami  una continuità ideologica ispirata dal regime fascista che, dalle sue origini, aveva sempre fiancheggiato l’impresa di D’Annunzio a Fiume, ma recenti ricerche hanno dimostrato il contrario.

 

Infatti, da un saggio di Annamaria Andreoli e di Giorgio Zanetti pubblicato nel 2004[4], apprendiamo che una prima redazione del testo del 1920 era comparsa molto tempo prima, sempre a firma di Gabriele D’Annunzio, sul giornale “Il progresso Italo-Americano”, destinato all’emigrazione italiana,  il 1° Agosto del 1915, all’inizio della Grande Guerra. Ciò dimostra che le radici del racconto affondano in epoche precedenti all’avvento del fascismo e che corrispondono a sentimenti di ammirazione collettiva non collegabili agli intenti celebrativi di sapore ideologico e propagandistico del 1937.

 

Ovviamente, l’autore aveva adattato il testo alle circostanze cambiando date e riferimenti. Il testo del 1915 inizia così: “ In un pomeriggio di luglio, uno di quei pomeriggi di guerra agitate da una battaglia di nuvole bianche sopra un campo azzurro, andai con Guglielmo Marconi alla stazione radiotelegrafica di Centocelle”[5].

 

Mentre nel testo pubblicato nel 1920 si legge: “Cittadini. Legionarii, salutiamo e onoriamo in Guglielmo Marconi il genio d’Italia diffuso nell’universo con la celerità della luce stellare. (…) Italiani lasciatemi evocare un’ora lontana di fraternità (…) Era il maggio della prima Guerra, era la vigilia della mia partenza per l’Alto Adriatico. In un pomeriggio agitato da una battaglia di nuvole bianche, io andai con Guglielmo Marconi a visitare la stazione radiotelegrafica di Centocelle”.

 

Nel testo del 1937, saltato il preambolo del saluto,  la rievocazione inizia direttamente con il racconto: “Era il maggio della prima Guerra …”.

 

L’articolo di D’Annunzio è,  dunque, il racconto della visita che egli fece con Marconi alla stazione radiotelegrafica di Centocelle in un pomeriggio dei primi giorni del  mese di luglio del 1915, alla vigilia della partenza per il fronte.

 

Si tratta del mese di luglio e non del mese di maggio: la data della prima versione dello scritto di D’Annunzio corrisponde alla citazione che ne fece Solari più tardi.

 

Luigi Solari, nella sua biografia di Marconi del 1940 [6], racconta, infatti,  che Marconi e D’Annunzio si incontrarono  a Roma nel mese di giugno 1915. Marconi aveva appena ricevuto la nomina a tenente del Genio, addetto ai servizi radio della brigata specialisti. La loro permanenza a Roma fu breve, “essi partirono ai primi di luglio per recarsi dove si combatteva. Prima però di lasciare Roma, Marconi desiderò visitare insieme a D’Annunzio la stazione radiotelegrafica di Centocelle esercita dalla Marina”[7]. Anche Solari riproduce la narrazione di quella visita scritta da D’Annunzio in una versione ripulita da preamboli e ulteriori riferimenti di contesto[8].

 

 

Il viaggio alla stazione radiotelegrafica di Centocelle

 

La descrizione del viaggio a Centocelle ha i caratteri di un affascinante poema romanzesco e avventuroso, ricco di citazioni storiche e paesaggistiche che meriterebbe  commenti e apprezzamenti letterari puntuali, ma qui riprenderò solo alcune parti della narrazione che forgiano la figura di un Marconi come un austero mago taciturno dai poteri occulti.

 

Iniziato il viaggio verso Centocelle, D’Annunzio descrive subito la prima scena: una vettura veloce che attraversa in un vento vorticoso  antiche e illustri rovine. Nella vettura erano soli, lui e Marconi: il “mago degli spazii” e il “compagno d’armi” entrambi in divisa entrambi animati da grandi passioni, quella per la scienza e quella per la poesia, entrambi legati dalla dedizione alla patria. D’Annunzio interroga il “mago” sui suoi  prodigi ottenendone però solo gesti silenziosi. Marconi appare come una compagnia solenne e ieratica:

 

“ Il dominatore delle energie cosmiche era diventato un soldato taciturno, chiuso nella sua disciplina di ferro. Tutte le possibilità erano in lui, come in un altro mago italiano, come in Leonardo da Vinci; ma egli le serrava nel suo segreto ermetico”.

 

Giunti alla stazione radiotelegrafica di Centocelle, D’Annunzio la rappresenta  come un “tempio eccelso del Mistero” creato dalla “legge cosmica, con l’architettura sensibile delle antenne che irradiano l’energia meravigliosa e che con la disposizione dei fili verticali e orizzontali danno l’insieme di un gigantesco  strumento musicale, di una mai veduta arpa eolia risuonante ai soffi dell’anima mondiale”.

 

In questo tempio, Marconi è raffigurato come l’”eroe magico”, depositario di arti occulte, che si trova in una delle sue dimore “ fra le sue torri di ferro, tra i suoi ventagli di fili, tra le sue lievi pareti continuamente commosse dalla vibrazione elettrica, scosse dagli scoppi della scintilla terribile”.

 

Una volta  che i due amici furono  dentro la stazione, Marconi viene descritto da D’Annunzio come il potente sacerdote di un culto misterioso che, attraverso movimenti  lievi e incantatori, con un linguaggio impercettibile,  dirigeva e raccordava i congegni elettrici trasformandoli in strumenti musicali di una orchestra misteriosa così che si potesse udire una sconosciuta sinfonia.

 

“Egli esaminava gli apparecchi con uno sguardo familiare, li toccava talvolta con una mano quasi carezzevole, come gli incantatori trattattavano le bestie affascinate. L’immensa energia cosmica, costretta negli strumenti esatti, misurata e asservita, parlava con quell’uomo tranquillo e possente un linguaggio che egli comprendeva come il favellio del suo bambino. Le batterie di accumulatori, le batterie di bottiglie di Leyda, I commutatori, i condensatori, gli scaricatori, gli interruttori, i rivelatori,  tutta quella concentrazione di forze, tutta quella precisione di funzioni, tutta quella intensità di movimenti, tutta quella sinfonia di suoni sconosciuti alle sette canne del flauto di Pan e alla profonda orchestra di Wagner, parevano obbedire alla volontà segreta di quell’uomo solo, parevano rispondere al battito delle sue arterie”.

 

La sinfonia misteriosa si congiungeva infine con i segnali che giungevano da ogni parte del mondo e che vibravano attraverso le “antenne aeree sparse per il vasto mondo”.

 

 

Il senso storico di Marconi “mago degli spazii”

 

Dal confronto tra l’articolo commemorativo del 1937 e quello del 1915, passando per la versione del 1920,  risulta che la figura del “mago degli spazii”, era già presente nelle pagine del  racconto di  D’Annunzio nel 1915, anno nel quale i fatti narrati avvennero, e quindi non può essere considerata come  una figura retorica del regime fascista che all’epoca non era ancora nato.

 

In realtà essa fu una trasposizione immaginifica e poetica di quel sentimento di ammirazione popolare di cui Marconi godeva universalmente in vita e che si affermò ben presto, nei primi anni del ‘900,  a seguito dei successi dei suoi collegamenti telegrafici senza fili, quindi  molto prima che diventasse parte integrante della propaganda fascista.

 

Ed infatti, all’inizio del secolo, i collegamenti transatlantici di Marconi (1901 e 1902) avevano acceso dappertutto nella popolazione italiana “un’ondata di fervore quasi religioso”, come leggiamo nella recente biografia di Marconi curata da Riccardo Chiaberge[9], il quale così prosegue: “il successo di Marconi, proprio su quell’oceano solcato da masse di disperati (i migranti italiani), apre uno spiraglio di luce nella miseria, scatena un sentimento in cui l’orgoglio nazionale si sposa all’entusiasmo positivista”[10].

 

Il contagio mistico nei confronti delle esperienze di Marconi aveva colpito anche intellettuali e scrittori. Rudyard Kipling, che aveva conosciuto Marconi a Londra nel 1899, scrisse una storia nel 1902 dal titolo “Wireless” in cui attribuisce poteri miracolosi ai collegamenti radio associandoli a fenomeni prodigiosi e in definitiva magici[11].

 

Il legame tra la fisica delle onde elettromagnetiche, il culto del paranormale e le pratiche spiritualistiche trova anche precedenti negli scienziati inglesi di fine ‘800. Il più citato è l’accanito detrattore dei primi esperimenti di Marconi, Sir Oliver Lodge[12]

 

Erik Larson spiega molto bene come stavano le cose: “Il fatto che le onde potessero viaggiare attraverso l’etere sembrava confermare l’esistenza di un altro piano della realtà. (…) I fantasmi che infestavano le case di campagna, i poltergeist sferraglianti nelle vecchie abbazie, gli spiriti che battevano sui tavoli durante le sedute spiritiche apparivano a Lodge altrettanto degli di essere studiati quanto il movimento invisibile di un’onda elettromagnetica”[13].

 

In conclusione, quando  Gabriele D’Annunzio definiva “mago degli spazii” Guglielmo Marconi dalle pagine del settimanale “Quadrivio” il 25 luglio del 1937, anche se con toni retorici dell’epoca, era interprete del sentimento di riconoscenza universalmente tributato da sempre a Marconi, dalla gente comune, da scienziati, intellettuali  e letterati, come colui che con genialità e perseveranza aveva indagato, giungendo a grandi scoperte,  il mondo, invisibile e misterioso, delle onde elettromagnetiche.

 

Non è un caso che tale riconoscimento gli giungesse contemporaneamente, negli stessi giorni, l’indomani della sua morte, dalla stampa inglese “che non è stata in generale molto tenera con gli italiani”,  annotava Luigi Solari[14], e da quella americana.

 

Così il giornale “The Times” di Londra scriveva il 21 luglio 1937:

 

“Ciò che Marconi ci ha lasciato è nella sua essenza un potere di illuminazione che ci apre le vie della verità”[15].

 



[1] Mario La Stella, “Guglielmo Marconi – Mago dell’invisibile, Dominatore degli spazi”, Aurora edizioni, Milano 1937.

[2] Mario La Stella, op. cit., pag. 35, 37.

[3] Mario La Stella, op. cit., pag.44.

[4] Annamaria Andreoli, Giorgio Zanetti, “Onde d’inchiostro”, Abacus edizioni, Bologna 2004.

[5] Annamaria Andreoli, Giorgio Zanetti, op. cit., Pag. 9.

[6] Luigi Solari, “Guglielmo Marconi”, Odoya, Bologna 2011 (Riedizione della biografia pubblicata da Solari nel 1940)

[7] Luigi Solari, op. cit., pag. 197.

[8] Luigi Solari, op. cit., pagg. 197-198.

[9] Riccardo Chiaberge, “Wireless”, Garzanti, Milano 2013, pag. 132.

[10] Riccardo Chiaberge, op. cit., pag. 134.

[11] Rudyard Kipling, “I figli dello Zodiaco”, Adelphi, Milano 2008, Pag. 226.

[12] Riccardo Chiaberge, op. cit. pag. 135.

[13] Erik Larson, “Guglielmo Marconi e l’omicidio di Cora Crippen”, Neri Pozza, Vicenza 2014.

[14] Luigi Solari, op.cit., Appendice.

[15] Luigi Solari, op. cit., Appendice.